Anche il calcio si sta globalizzando?

calcio globalizzato- 1bis

In un mondo che corre sempre più veloce nel quale vige la legge del più forte economicamente che mangia il più debole, in un’epoca dominata dalla paura, dalle incertezze sul futuro, e dalle pochissime opportunità lavorative da offrire ai giovani, i più grandi controsensi e le maggiori contraddizioni si vedono soprattutto nel mondo del pallone. Basta pensare solo per un attimo che la stragrande maggioranza delle persone che ha un lavoro ‘normale’ porta a casa uno stipendio che (per i più fortunati) a stento arriva sui 1500 € al mese, e paragonarlo agli 8-10 milioni di euro all’anno che invece guadagna un top player di un top club, che viene già voglia di odiare il calcio con tutte le proprie forze.

Perchè tutto il mondo degli attivisti impegnati nella lotta alla globalizzazione non ha mai preso in considerazione l’idea di fermare la giostra del calcio? Perchè non dare un bel ‘giro di vite’ a tutto l’ambiente, anno dopo anno sempre più nell’occhio del ciclone per la quantità impressionante di denaro che riesce a muovere? Strano che nessuno abbia mai mosso un dito, eppure ce ne sarebbe davvero bisogno visti i prezzi e gli stipendi dei giocatori, e considerati gli incassi faraonici dei club grazie a diritti televisivi, sponsors, e proventi derivanti da partecipazioni a competizioni internazionali di prestigio come la Champions League; certi movimenti andrebbero controllati con maggior attenzione.

Un miraggio chiamato ‘fair play finanziario’

In epoche non troppo remote (2009) l’UEFA introdusse un progetto chiamato fair play finanziario, una buona iniziativa volta a livellare in un certo senso la grande differenza economica che c’era (e che c’è ancora oggi) tra i club, cercando di creare condizioni giuste ed eque per il corretto svolgimento di tutte le competizioni calcistiche sia nazionali che internazionali. Il progetto aveva come suo scopo primario quello di far si che tutte le squadre avessero più o meno lo stesso potenziale d’acquisto in fase di calciomercato, vietando a chiare lettere ai club di indebitarsi verso i propri dipendenti, verso altre società, e verso lo stato o le banche.

In sostanza, molti tra i più grandi club si indebitano fino all’osso del collo per fare una campagna acquisti che possa permettergli di essere competitivi e di mirare a traguardi importanti come quello di giocare la Champions League, poi magari nel corso della stagione qualcosa va storto, l’obiettivo di passare il turno nella più prestigiosa competizione europea magari sfugge di mano, non ci saranno quindi quelle entrate per le quali il club si è indebitato, ed ecco servito il possibile fallimento della società. Ma abbiamo visto che, purtroppo, il discorso non vale per tutti; ancora oggi queste disparità sono sfacciatamente visibili, e ci sono top club con scoperti bancari che vanno in alcuni casi dai 500 agli 800 milioni di euro che continuano ad indebitarsi per comprare i più forti calciatori del mondo, ed altri club che invece non possono permetterselo, o magari nessuno gli fa credito perché non hanno alle spalle aziende a partecipazione statale, chiaro il concetto no?

I club più prestigiosi sono i più indebitati

Praticamente tutti i club più prestigiosi d’Europa sono indebitatissimi, specialmente quelli che da anni investono con l’obiettivo di vincere la Champions League, traguardo che garantirebbe un introito di circa 150 milioni di euro (senza contare almeno altri 100 provenienti da sponsor e tv), e poi invece vengono eliminati agli ottavi di finale come nel caso della Juventus, che insegue questo sogno dal 1995-96 ma non riesce mai a concretizzarlo. Ecco, proprio il caso della Juventus è l’esempio più chiaro che si possa fare; senza voler andare troppo indietro nel tempo, basta pensare solo agli ultimi 5 anni di investimenti fatti sul mercato dal club zebrato (Dybala, Pjanic, Higuain, Bernardeschi, Matuidi Douglas Costa, Cristiano Ronaldo, De Light, ed in ultimo Arthur), ed agli oltre 700 milioni di euro spesi senza riuscire a portare mai a casa il desideratissimo trofeo, che non ci si vorrebbe mai trovare nei panni del presidente Andrea Agnelli, patròn della Fiat.

Situazioni debitorie ancor più preoccupanti si trovano in Inghilterra; ci sono infatti squadre come il Chelsea e il Manchester Unitedindebitate per circa 800 milioni di euro, mentre Arsenal e Liverpool viaggiano attorno ai 400 milioni ciascuna. Anche in Spagna la cosa si attesta più o meno a questi livelli, con Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid e Valencia che sono indebitate ciascuna per una cifra vicina ai 500 milioni di euro. E’ chiaro che così non va.

La ‘Super League’ un progetto ambizioso ma impossibile

Visto questo terribile scenario, ai signori del calcio è venuta in mente una brillante idea; alcuni tra i citati top club hanno infatti lanciato la proposta di creare un’altra competizione internazionale chiamata Super League, una sorta di nuova Champions con invito ristretto a sole 20 squadre, ma dopo appena qualche giorno di discussioni e polemiche il progetto è stato stroncato sul nascere da tutti gli addetti ai lavori, i facenti parte del mondo del pallone, e soprattutto dai tifosi.

C’era da aspettarselo, la gente non è stupida e capisce bene che in questo modo le cose possono solo peggiorare, specialmente per chi difende i colori di squadre minori che non fanno parte della elite del calcio. Succederebbe infatti che le squadre più titolate, ovvero quelle più indebitate, si vedrebbero piovere addosso un’altra considerevole quantità di denaro da poter spendere sul mercato per rinforzarsi ulteriormente, a danno ovviamente delle più piccole, destinate a recitare sempre un ruolo marginale e secondario nella scena del calcio nazionale ed internazionale. Tutto ciò è estremamente antisportivo e discriminatorio, e non si può fare!